"Volto con archipendolo", 1975, fotofinish, stampa bianco e nero, misure variabili
P.Gioli "La linea trasparente", 1982
La linea trasparente
Queste immagini sono state realizzate impiegando la ben nota tecnica di ripresa "al fotofinish", tecnica normalmente attuata negli arrivi di avvenimenti sportivi e nei laboratori scientifici. Molti artisti però da diverso tempo la usano per esprimersi con gli stessi principi, anche se con macchine meno sofisticate.
Una definizione assoluta a questa tecnica espressiva non è mai stata data e solo per intenderci si ricorre alla definizione di cui sopra. Io l'ho adottata non per un suo aspetto curioso ma solo perché molto legata ad un'altra mia indagine creativa, attuata con il "foro stenopeico", il quale, essendo un punto trasparente, qui invece si sposta a diventare una linea trasparente. Il punto fatto di luce che diventa linea ha prodotto queste immagini.
Questa linea o fessura luminosa l'ho moltiplicata, amputata, incisa ad angolo o semicerchio, ecc. Sottile quanto un segno di matita, è situata su una lastrina di metallo, la quale sostituisce l'otturatore che non serve. Molti autori si limitano a riavvolgere la pellicola a macchina bloccata e ad un'unica fessura, ottenendo così soltanto figure più o meno deformate, senza sfondo, senza ambiente reale. Nel mio caso invece ho pensato di svuotare di ogni meccanismo una mediocre fotocamera 35 mm non reflex applicandovi solo una o due grandi manovelle per l'avanzamento e ritorno rapido della pellicola, in ripresa. Le mie, più che immagini deformate, vorrebbero essere immagini ricomposte-decomposte su sfondi assolutamente naturali. Per ottenere queste strane figure con sdoppi non speculari su vedute reali, ho dovuto muovere la fotocamera come una cinepresa; un'azione somigliante ad una ripresa di precinema, gesto che assicura tutto il campo visivo scelto. Campo che può essere vastissimo; più volte a 360 gradi!
I ritmi parossistici di ripresa in sintonia con il soggetto, gli stop improvvisi, i rallentamenti e ritorni possono essere molto creativi solo se attuati a mano e con molta concentrazione sulle varie velocità imposte alla pellicola, alla macchina, al soggetto e alle cose. Personalmente ho diviso in due i campi di azione esistenzialmente carichi di ritmi, di movimenti; uno è quello di tipo urbano, imprevedibile, come il passaggio di un'auto o di una persona; l'altro è quello di gesti ordinati, costruiti su uno o più personaggi come in uno psico-teatro. Insomma il mio intento sarebbe quello di scoprire, nelle molte azioni del vivere banale, figure in movimento mai apparse prima: diciamo pure un mondo dissotterrato. L'assunzione di questa tecnica creativa di ripresa semiscientifica resta comunque molto complessa e ancora in parte tutta da riscoprire; certamente male affrontata, come molti autori fanno, riducendola superficialmente ad un gioco spettacolarmente esteriore.
1982, pubblicato in: "Exin", n. 2,
Parigi, aprile-maggio-giugno 1982.